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Perché gli alberi nascondono lo splendore delle radici?

(dal Libro delle domande di Pablo Neruda)


Prima che l’uomo si presentasse sulla terra molte piante ad alto fusto avevano radici respiranti. Oltre a radicarsi nella terra, alcune appendici avevano il compito di vigilare e capire ciò che succedeva intorno al loro territorio e, nel pericolo, avvisare il centro operativo del vegetale. Per svolgere tale specifica funzione, sbucavano dal terreno e formavano un’intricata barriera attorno al fusto in modo da tenere lontani insetti, roditori e altre pericolose creature. Un ulteriore strato di pigmento urticante rendeva del tutto impenetrabile l’accesso ai fusti delle piante.

Quelle barbe, oltre alla funzione protettiva, erano dotate di particolari pregi. Avvalendosi della loro porzione interrata erano in grado di trasformare il carbone in puro diamante. Le intricate siepi respiranti catturavano il soffio dello zefiro e lo mutavano in zaffiro puro, dalle intense sfumature blu e azzurre. Anche i raggi dell’aurora rimanevano imprigionati nella loro preziosa ragnatela, tanto da creare effetti pari alle aurore boreali prima di spargersi in veli di rugiada d’oro attorno alle piante.

Sennonché, le porzioni aeree delle radici avevano un punto debole nel loro carattere: tanto erano splendenti e gagliarde nella difesa del territorio quanto timide e schive nel momento in cui si presentava qualcosa di nuovo, di sconosciuto.

E cosa poteva esserci di più ignoto se non la specie umana, presentatasi improvvisamente con le sue forme contrarie a ogni logica della natura fino ad allora conosciuta?

Man mano che la nuova genia prendeva possesso dei territori, le timide radici splendenti di tesori si ritiravano e si nascondevano sottoterra. In breve non rimase traccia di loro.

Quando l’uomo, spinto della cupidigia, iniziò a scavare e trapanare la terra, trovò ricchi filoni di oro, argento e pietre preziose, ma non sapeva di aver raggiunto le ataviche, timorose radici aeree delle piante e incominciò a smembrarle per farle sue, come era nella sua natura.


© Cesare Ferrari

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