Piroette da trottola, volteggi, figure aggraziate; una sosta a lato del palco e una breve rincorsa a precedere il salto permettevano alla scultorea figura di alzarsi in fantastico volo, vibrando i piedi puntuti a decine di metri dal suolo...

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Lo chiamavano Colibrì

  Piroette da trottola, volteggi, figure aggraziate; una sosta a lato del palco e una breve rincorsa a precedere il salto permettevano alla scultorea figura di alzarsi in fantastico volo, vibrando i piedi puntuti a decine di metri dal suolo. Era tale il suo stacco nel vuoto e così ampio il tempo in cui si librava nell’aria che tutti avevano modo di estrarre i loro strumenti e scattare decine di foto, prima che il ballerino, leggero e insonoro, giungesse alla fine del suo mitico volo. Lo chiamavano il “Colibrì”, colorato pennuto capace di librarsi immoto nell’aria. La platea, le piazze, intere città lo adoravano e acclamavano il suo grande talento. Le strade, i palazzi, le torri erano colme di foto dei suoi salti sontuosi e tutte le immagini, chi sotto chi accanto, recavano il logo del pennuto dipinto. Le figure riflettevano giochi di luce e magie, scatti eterni di balzi, memorie immortali sui rotocalchi.

  Durò poco il mito del ballerino, l’acuirsi d’insano livore dovuto alla sua gelosia disturbò l’abbagliante postura della sua simmetria. Lei, ballerina al top delle stelle, era bella, leggiadra nei suoi voli eleganti, ma aveva il difetto d’esser colma d’amanti. La sorprese un giorno, nel salto finale di un galeotto duetto, buttar l’occhio su un tipo in livrea, sotto il palco, primi posti in platea. La spina acuta nel cuore gli costò un prematuro atterrare. Allibito, lasciò di corsa la sala ed il colpo fu tale che lo rese per sempre stanziale. Restò appesa la sua simmetria a quel chiodo di gelosia.

© Cesare Ferrari

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