Me lo sono trovato contro sabato, quando mi hanno convocato al campo della Calvairate. Lui, mio nipote novenne, astro nascente dello Schuster calcio, io ...enne ex-titolare della gloriosa società rosso-blu...

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Calvairate vs Schuster

 Me lo sono trovato contro sabato, quando mi hanno convocato al campo della Calvairate. Lui, mio nipote novenne, astro nascente dello Schuster calcio, io ...enne ex-titolare della gloriosa società rosso-blu. Nell’entrare in campo notavo le differenze: il mio avversario volava su scarpette agili e un perfetto tappeto verde artificiale, io arrancavo con due chili di fango incollato ai tacchetti delle scarpe di cuoio grezzo su un terreno che era simil erboso solo in prossimità degli angoli. Nonostante il maquillage, quello era il mio campo, anche se appariva soffocato dai palazzi intorno, dall’ortomercato e contaminato dagli odori del mercato appena smontato. Era sempre lì, protetto da quel muro che lo difendeva dall’essere fagocitato dalla bulimia cittadina.

  Quando l’arbitro ha dato il fischio di inizio, ho preso a correre come ero solito fare, ma questa volta indietro nel tempo, fino alla mia piazza, che non era proprio un piazzale, ma una confluenza sterile di cinque strade di periferia.

  Alzando la testa per vedere meglio dalla vetrata del suo negozio, tra gli spiragli che gli venivano concessi dai numerosi clienti, un occhio attento mi osservava caracollare sul selciato a destra e a manca saltando come birilli gli avversari, palla incollata al piede. Era stato così, incartando un pollo nostrano, tra una bistecca tagliata e una costata con l’osso, che mi aveva scoperto l’allora presidente della squadra rosso-blu, al secolo il “bechée” (macellaio) del quartiere e di famiglia.  

  Trascurando i miei cinquanta “ghei” di statura e i trentatre chili di peso che non avrebbero interessato nessuno dei suoi clienti, era stato folgorato dal mio talento e aveva iniziato a corteggiare mia madre per avermi nella sua Calvairate. La mamma, però, era un osso duro da spolpare anche per un artista della carne come lui. Così, un giorno, si era tolto il grembiule diversamente bianco, aveva chiuso un momento il negozio ed era venuto a bussare all'uscio della nostra casa, deciso a concludere la trattativa. Non so esattamente i termini del mio acquisto, immagino qualche pollo novello o ossibuchi che facevano peso sulla bilancia; sta di fatto che la domenica successiva, alla firma del contratto, ero già in campo con una maglia che mi faceva le pieghe nelle mutande e i calzoncini che garrivano aggrappati alle aste delle mie gambe.

  Correva il pensiero ai giorni del passato negli istanti  reali di quel sabato, mentre inventavo fantasiosi tentativi di rubar palla ai nero-verdi, specchiandomi nella postura somatica di mio nipote. Ero lui… scarno fuscello in volo, in balìa dell’unico mio grande amore fino alla maggiore età… E nell’istante in cui lambivo la proiezione distante della mia chimera, un turbamento malandrino generava la quantità di tenerezza necessaria per immaginare qui, sul mio campo, noi due insieme... rincorrere lei, Sfera, la nostra comune, effimera passione!


© Cesare Ferrari

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