Ogni anno, nel mese di Maggio, Zara portava fiori del Maggiociondolo alla cappella della Madonnina Virtuosa. Si diceva che tale appellativo la statuetta della Vergine se lo fosse di molto meritato. Pare avesse redento alcune giovani dispensatrici di gioie a pagamento...

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Zara

   Ogni anno, nel mese di Maggio, Zara portava fiori del Maggiociondolo alla cappella della Madonnina Virtuosa. Si diceva che tale appellativo la statuetta della Vergine se lo fosse di molto meritato. Pare avesse redento alcune giovani dispensatrici di gioie a pagamento che avevano assunto a ufficio il marciapiede della SP999, km 35 direzione Verbano, antistante la piccola cripta che l’ospitava. Sempre secondo le congetture della “Giunta dei mala”, in perenne spaparanzo ai tavoli del bar  “La filo via”, fronte Madonna,  Zara doveva essere una delle “miracolate”.

Al suo apparire all’inizio della curva dove il tram rallentava e faceva fischiare le rotaie da turarsi le orecchie, volavano frecciate e a volte complimenti belli pesanti, perché la Giunta era tanto chiacchierona e leggera negli argomenti neutri, quanto stringata e profonda nelle constatazioni di genere femminile.

In verità di "mala" la Giunta aveva ben poco. I racconti che i compari si scambiavano seduti ai tavoli all'aperto erano volatili come il fumo dei camini nelle giornate di vento, impalpabili come la schiuma delle birre nei loro boccali. Erano fanfaluche di furti e rapine talmente inverosimili da far impallidire anche la Fatina dai capelli Turchini, abituata alle bugie di Pinocchio. Ma servivano a sostenere il sogno che un giorno sarebbero stati protagonisti di una grande rapina che avrebbe reso reali tutti i loro "vorrei, ma non posso".      

Durante uno di questi scambi di narrazioni fantasiose, arrivò di corsa il Ganassa al tavolo del primo turno di Giunta e, tutto trafelato, spifferò in gran segreto di aver saputo da fonte sicura-sicura che Zara era la cugina di secondo grado, dello zio... quello magro, secco secco, acquisito dal secondo nipote adottato che aveva sposato... E lì, il Ganassa era andato in confusione parentelare, come spesso capitava a chi, nei discorsi di paese, non rammentando il nome di un protagonista del pettegolezzo in corso, ricorreva agli agganci genealogici e, nei vuoti di identità, si rifugiava nei dettagli fisionomici.

La notizia, sebbene mancante della fonte di partenza, aveva provocato grande disorientamento. Sì, perché Zara, riacquistato l’onore, lo aggiungeva all’incontrovertibile verità di essere una gran bella figliola.

Fu la classica “botta di giunta”. Tutti, uno alla volta, si innamorarono della bella riabilitata, ma nessuno ebbe il coraggio di farsi avanti e nemmeno di farlo trapelare tra gli amici del bar.

Quando passava recando in grembo grappoli di Maggiociondolo, i Mala al completo si univano in processione e tutti, proprio tutti, stringevano tra le dita un grappolo di steli piangenti colmi di petali gialli.

Un cinque di Maggio, i rappresentanti erano riuniti nel retro cortile de’ “La filo via” ad ascoltare il Dotto declamare la celebre ode in memoria di Napoleone. All’esterno era rimasto unicamente il Ganassa, che aveva la fobia dei cimiteri e delle urne in genere. All’apparire, oltre la curva, della bella per la quale il suo cuore andava in extrasistole compulsiva, ruppe gli indugi, si alzò e accompagnò la fanciulla, finalmente solo, alla cripta della Madonnina Virtuosa. Lì, tra un fuggevole segno di croce e una ghirlanda di fiori, le tartagliò il suo amore.

Non diede eccessivo peso all’atteggiamento di Zara, che senza alcuna titubanza, assentì a voler ricambiare il suo affetto e, per dimostrarglielo, lo invitò a casa sua per il giorno a seguire. Contenne lo stupore allorché, varcata la soglia, lo invitò senza preamboli a stendersi con lei nel suo caldo giaciglio. Si trovò senza saliva quando, al risveglio da un sonno ristoratore seguito ai più smaliziati giochi d’amore, trovò un biglietto nel quale Zara gli comunicava di aver prelevato dal suo portafoglio il dovuto per la prestazione e il nome dell’anello mancante alla sua fonte di informazioni: Gedeone, di professione gran filibustiere e pappone.

Zara sparì, non si fece più viva per tutti i giorni a seguire del mese e neppure apparve nei primi giorni del mese di maggio dell’anno successivo.

La Giunta aveva sofferto nel vedere le ghirlande avvizzite rimaste ai piedi della Madonnina Virtuosa. Il cinque del mese, terminata la consueta recita, arrivò sudatissimo il Bargiggia. L’angelica fanciulla era apparsa alla cappella della Madonna Votiva, davanti al bar “Il solito tram tram”.

Fu l’esodo. Tutti si accalcarono alla fermata della tramvia. Non proprio tutti... ne mancava uno che per difendere la sua immagine spavalda, non aveva avuto il coraggio di svelare la sua esperienza mortificante, offrendo a Zara l’opportunità di colpire ancora.

Il Ganassa non poteva sapere che il mattino seguente a quella lontana notte d’amore, Zara si era alzata poco prima dell’alba. Aveva posato lo sguardo verso il letto dove giaceva addormentato il suo nuovo cliente. Un accenno inusuale, all’apparenza un sorriso, aveva scacciato per un attimo l’espressione malinconica del suo volto. Simultaneo, un velo di purezza adolescenziale le era balenato negli occhi  nello scorgere un filo di saliva, bianco e ormai asciutto, che si allungava da un angolo della bocca dell’uomo fin sopra il guanciale. Dopo avergli saccheggiato il portafoglio, aveva scritto in fretta il biglietto esplicativo, si era rivestita silenziosamente e come una falena notturna era scivolata nel semibuio, oltre l’uscio della casa prestatale dalla collega in affari, tendendo l’orecchio al ritmico, lieve russare della preda subdolamente adescata.

Il sole iniziava a far brillare le rotaie della tramvia. A un centinaio di metri dalla curva, oltre la quale si avvistava il bar “La filo via”, era sgattaiolata dentro un portone fatiscente di un palazzaccio nero con i cornicioni sbriciolati dall’incuria. Come da copione, Gedeone l’aveva accolta con lo sguardo torvo che serbava a tutte le sue protette. Le aveva afferrato un polso e con uno strattone malevolo l’aveva obbligata ad avvicinare il viso al suo.

«Ebbene?» le aveva alitato in un orecchio con voce ruvida.

Zara gli aveva allungato con malavoglia il portafoglio. L’uomo aveva estratto il danaro e gettato nella spazzatura il corpo del reato. Con sguardo voglioso si era avvicinato alla ragazza, l’aveva afferrata per i capelli, spinta con forza su un tavolaccio e brutalmente posseduta, lei prona e lui pantaloni abbassati quel tanto che bastava. La vittima non aveva battuto ciglio, si era morsa un labbro quando lui aveva affondato con violenza, in un affanno sempre più disgustoso e frenetico.

Come sempre, il supplizio era durato poco… con calma Gedeone si era ricomposto, aveva contato il compenso pattuito dovuto alla sua protetta e lo aveva gettato ai suoi piedi, ricordandole che la prestazione sessuale nei suoi confronti era d’obbligo e del tutto gratuita.

Con mossa lesta Zara, insieme ai pochi spiccioli, era riuscita a raccogliere il portafoglio del suo cliente. Riordinatasi al meglio, era uscita dal covo del suo tiranno col capo chino, alla ricerca della sua dignità che ormai non distingueva dalla sua ombra.

Nel timore che il suo cliente fosse ancora presente, era rientrata con mille cautele nella sua dimora provvisoria. Appurata la sua assenza, si era infilata sotto la doccia e aveva cercato di annegare il sale delle lacrime nel dolce scroscio dell’acqua. Le carezze del getto e le vaporose immagini di schiuma che scivolavano sulle sue lucide nudità, l’avevano accompagnata a ripensare alle tenere effusioni ricevute da quel suo cliente inusuale... così timido in quel garbuglio esitante di dolci parole pronunciate ad ogni pausa del soffio caldo del suo respiro. Impacciato sì, ma con una fantasia illimitata.

Nelle rare pause concesse ai giochi d’amore, aveva liberato il suo lato guascone nel raccontarle avventurosi furti, fughe smargiasse, bottini talmente ricchi, ma così irreali da svanire al solo pronunciarli. In poche ore aveva capito chi fosse il suo cliente: un deluso dalla vita, il cui unico modo per sopravvivere, era quello di rifugiarsi in sogni esagerati, come avrebbe voluto fosse stata la sua esistenza. Era la prima volta che qualcuno le parlava di sogni, facendole credere che esistessero, nonostante quelli del Ganassa fossero palesemente spropositati. Così, quando le aveva promesso una corona per farla sua regina, aveva sì sorriso, ma in fondo all’anima lo aveva sperato.

Ricordava con piacere il desiderio insaziabile del suo fantasioso cliente per il suo corpo… come se volesse trapassarlo, nel profondo, nell’anima. Nessuno aveva dimostrato tanto interesse e stupore nello scandagliare ogni punto delle sue nude sinuosità, nel gioire con fremiti sinceri ai falsi gemiti d’amore rilasciati da lei…

Falsi? Ripensandoci… molte esternazioni di piacere erano state autentiche, specialmente nei momenti in cui il partner, in acrobatici cambi di posizione, le aveva sussurrato in poesia: «Zara… bella da incantare, quanto ti vorrei maritare!»

Non le era capitato con nessun altro di provare qualcosa di molto simile al piacere. Possibile che, lucciola qual era, deputata ad accendere desideri notturni, fosse in grado di suscitare sentimenti altri che non fossero voglia del suo corpo e che, nella consuetudine dell’amplesso, anche lei fosse in grado di avvertire qualcosa di diverso dalla solita, noiosa abitudine?

D’altronde che ne sapeva lei dell’amore, orfana di entrambi i genitori, allevata e abusata bambina da uno zio immondo? Nessuno, in sua presenza, aveva mai neppure pronunciato quella parola. Ancora adolescente, costretta a prostituirsi, aveva lottato per conservare, a dispetto degli abusi e delle costrizioni inflitte, il dono prezioso che sentiva palpitare nel profondo: il candore di un’anima innocente e viva.

A seguito di quel fuggevole rapporto con il Ganassa, aveva cambiato zona. Era così che le suggeriva l’istinto: raggiro, notte d’amore, furto e sparizione. Uno ad uno, irretiti dal Maggiociondolo deposto ai piedi della Madonnina Votiva, erano caduti nella trappola tutti i restanti componenti della Giunta “La filo via”.

Era trascorso molto tempo da quei giorni. In un Maggio esuberante di fiori e colori, durante una perlustrazione della zona, occhiali scuri e foulard in testa per non farsi riconoscere, Zara si spinse oltre la curva, di fronte al noto bar dove si trovava la cripta della Madonnina Virtuosa. Si fermò un momento in piedi, non in preghiera perché nessuno le aveva insegnato a pregare, solo per doveroso rispetto a quel volto che emanava una dolcezza infinita.

Abbassò lo sguardo ai piedi della statua, nel consueto gesto di controllo che tutto fosse in ordine. Un’espressione di incredula meraviglia le apparve sul volto al vedere le ghirlande di Maggiociondolo fresche, appena colte, come se il tempo si fosse fermato. Per anni solo lei aveva portato fiori alla cripta. Dapprima pensò ad un miracolo… non si ricordava chi, ma qualcuno le aveva raccontato che la Madonna, ogni tanto, miracoli ne faceva. Poi si accorse di un biglietto appoggiato proprio al centro dei fiori.

“Con il più devoto affetto da parte di Zara a del redento tuo Ganassa!”

In un lampo le tornò alla mente il particolare della “corona per farla sua regina”. A quel pensiero, una vampata improvvisa e un sentore umido sulle guance la sorpresero oltre ogni dire… tanto da sospettare che in tale forma si presentasse in lei lo sconosciuto Amore.

Sostituì il foulard con la corona di fiori ai piedi della Madonnina, poi si voltò verso il bar. Con movimento rapido rimosse anche gli occhiali scuri, facendo seguire il gesto di turarsi le orecchie al fischio lugubre che annunciava l’arrivo del “solito tram tram”.

Rotaie libere e lontano il fastidioso lamento, Zara attraversò di corsa la strada, fermandosi esitante davanti al tavolato esterno del bar.

Gli occhi stupefatti dell’intera Giunta la stavano fissando. Un lungo respiro... e con un atto istintivo, frutto di grande scuola di vita, estrasse dalla borsa il portafoglio del Ganassa, completo del saldo ottenuto con i risparmi del suo lavoro. Nel tenderlo al proprietario, alcuni petali gialli si erano deposti sul volto ancora umido di Zara, un piccolo impiccio che non le impedì di sussurrare... anzi tartagliare:

«Se ancora mi vuoi sarò la tua regina. Non so se t’amo… ma così mi pare!»

Nello stupore generale, nessuno fece caso all'altro lato della strada, dove la Madonnina Virtuosa sembrava aver atteggiato le labbra a un gioioso sorriso.  

 

© Cesare Ferrari

 

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