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Traguardo! Otto libri pubblicati, 88 storie, favole, riflessioni e ricordi caricati e pronti per la lettura! Ma non finisce qui!
«Libri… libri… libri per tutti: romanzi, favole, storie per tutti i gusti!»
La voce veniva dalla strada e si avvicinava sempre più. Mi affacciai alla finestra e vidi un vecchio, difficile chiamarlo anziano, che spingeva curvo un carretto del secolo scorso.
«Ehilà, buonuomo, che libri vendete?»
«Di ogni genere signore, se le garba scendere le mostro alcuni esemplari».
Non avevo mai visto un venditore ambulante di libri se non nei mercatini dei libri usati e, incuriosito, mi infilai il piumino per scendere veloce in strada. Faceva molto freddo e il mio respiro si condensò spandendosi nell’aria.
Intanto il venditore di libri aveva appoggiato una ruota del suo mezzo contro un marciapiede e mi stava aspettando. Quando gli fui vicino, l’ambulante mi rivolse un sorriso cordiale; nel frattempo le sue mani, coperte da guanti di lana, sollevarono un telo che copriva decine di libri.
«Non ci credo, dove li ha recuperati?»
«Veramente li ho scritti io!»
«Lei?»
«Certo, guardi le copertine! Hanno tutte il mio nome: Giulio Silvestri».
«Dunque lei è uno scrittore ambulante. Ma non le procura affanno, alla sua
età, con questo freddo, spingere un carretto del novecento, così pesante?»
«Affanno? Certo, ma cosa devo fare? Devo pur campare!» rispose pacato
il vecchio, alzando il collo della camicia logora.
Gli offrii una sigaretta che accettò volentieri. Mentre gliela accendevo, guardavo le rughe che segnavano la sua fronte lucida, che proseguiva spavalda alla ricerca di un cespuglio raro di capelli bianchi. Gli occhi erano scuri, imprigionati dalle palpebre cadenti, attraverso le quali si infilava uno sguardo ancora gagliardo.
Uno sbuffo di fumo azzurro accompagnò la voce dello scrittore.
«Questo carretto era di mio padre. Faceva i mercati tre giorni alla settimana
e gli altri li passava nelle strade a vendere frutta e verdura alle famiglie…»
Silvestri fermò un attimo la parola, mentre un ricordo si intuiva vagasse tra le rughe in quel momento corrucciate.
«Voleva che continuassi a lavorare nella fattoria di famiglia. Ma a me non
stava bene spalare la merda delle stalle e rompermi la schiena a zappare la terra! Io sentivo di avere qualcosa dentro che doveva uscire, un bisogno grande di raccontare storie che avevo sentito in paese, fiabe che mi venivano a trovare di notte, gesta di eroi, romanzi che avevo letto, storie d’amore…»
Infervorato nel suo dire, l’anziano scrittore scelse quattro libri, li mise uno sopra l’altro e me li consegnò.
«Tenga, li legga, se saranno di suo gradimento, quando passerò la prossima
volta me li pagherà!»
«La ringrazio, ma preferisco pagarli subito… anche per lei… non mi sembra
il caso…»
«No, no no, guardi che mi offendo!»
«Mi scusi,» replicai «non è per farmi gli affari suoi, ma non le converrebbe
proporli a qualche libreria, invece di girare in camicia con questo freddo e spaccarsi la schiena a tirare il carretto, come suo padre?»
«Eh, caro signore, ci ho provato, eccome se ci ho provato! Ma le librerie
tengono solo testi di case editrici».
«E lei non ne ha una?»
«No, altrimenti non sarei qui col trabiccolo».
«Ma non può cercarsene una?»
«L’avevo una casa editrice, con cui ho pubblicato molti dei miei libri. Un
giorno l’editore mi ha telefonato e mi ha fatto presente che i miei testi non erano più appetibili, la mia creatività non vendeva copie, la gente moderna leggeva solo saggi, intrighi politici, storie di attualità. Insomma, la narrativa “tirava” ancora solo se lo scrittore era già famoso o aveva visibilità mediatica, oppure se aveva qualche parente importante. “D’altra parte,” mi disse l’imprenditore in tono sommesso, ma che non ammetteva repliche: “l’Editore è un’impresa e, con i tempi che corrono, deve andare sul sicuro, rischio zero”».
«Che farabutto… e l’ha messo alla porta?»
«Già, ha tolto tutti i titoli dei miei libri dal suo catalogo e non ha voluto
pubblicarne altri. Purtroppo, per la stessa ragione e anche perché ero già avanti negli anni, nessuno ha più accettato di pubblicare le mie opere».
«E quindi?»
«Che dovevo fare per campare? Ho investito tutti i miei risparmi per
acquistare una licenza da ambulante; pochi soldi sa, perché chi vive di scrittura, se non ha la fortuna di scrivere il libro che fa il botto, non si può permettere neppure di avere una famiglia. Ottenuta la licenza, sono riuscito a rintracciare il rigattiere a cui avevo venduto il carretto di mio padre, che mi era toccato in eredità, e l’ho ricomprato pagandolo ben più del ricavato precedente. Poi, ho caricato tutte le copie rimaste dei miei libri sulla mia “libreria mobile” e mi sono messo a girare per le strade. In pratica ho ripreso il lavoro di mio padre, ma vendo primizie differenti dalle sue».
«E il guadagno?»
«Giusto per campare, ogni tanto qualche buonanima, come lei, si accorge
che giro, ma devo urlare, urlare tanto per farmi sentire!»
«La capisco, oggi se non si urla nessuno ti ascolta! Se vuol venire di sopra,
in casa mia, le faccio un bel caffè, magari con qualche biscotto, così intanto do un’occhiata ai suoi libri e poi le pago il dovuto».
«La ringrazio, ma chi mi cura il mio carretto? Se me lo rubano sono finito!»
Così dicendo, lo scrittore ambulante ricoprì i libri con il telo, spense la cicca della sigaretta sul marciapiede e se la mise in tasca. Gli porsi il pacchetto intero, ma lo rifiutò con garbo. Lo aiutai a manovrare all’indietro il suo negozio, poi, afferrati gli stangoni, prese a spingerlo in avanti, puntando sull’asfalto le suole consumate delle scarpe.
Lo osservai allontanarsi curvo e affaticato, mentre urlava alla gente le meraviglie del suo anomalo raccolto. Seguii con lo sguardo il respiro condensato dello scrittore ambulante, che si alzava in dissolvenza all’altezza delle finestre più prossime alla strada.
Nessuno uscì al suo passaggio.
Tornai nel tepore della mia casa con una vena ostruita nei pressi del cuore.
Nelle settimane che seguirono lessi i quattro libri che mi aveva affidato e mi si aprì un mondo che avevo dimenticato esistesse.
Aspettai con impazienza che Silvestri ripassasse nella mia strada. Volevo ringraziarlo, pagarlo e lodarlo per tutto quello che avevo appreso leggendo i suoi impareggiabili scritti.
Ma invano. Non lo rividi più.
© Cesare Ferrari