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Confessioni online

Il Parroco di Pian di Sopra, un piccolo centro abitato collinare, era molto preoccupato per il drastico calo di presenze durante le funzioni religiose. Ancor più lo era per la quasi totale assenza di confessioni. La pandemia non aveva risparmiato la piccola città e la paura del contagio aveva momentaneamente fatto rinchiudere in un cassetto, neppure molto capace, i palpiti di fede dei suoi parrocchiani. Don Clemente soffriva per l’impossibilità di agire e, per rimediare in qualche modo alla situazione di isolamento, decise di ricorrere alla tecnologia telematica.

Non avendo la comunità parrocchiale gli strumenti per trasmettere in diretta streaming la S. Messa, decise di limitarsi a confessare online. Data l’esiguità del reddito e la carenza cognitiva di gran parte della popolazione, tale soluzione risultava essere praticabile solo da un’esigua minoranza. Tuttavia don Clemente era del parere che l’equità, nei casi d’emergenza, non fosse da considerare prioritaria: meglio poco che zero. Dal lunedì al giovedì raccoglieva via mail le richieste dei pochi fedeli “tecnologici” e fissava gli appuntamenti per il venerdì e il sabato. Tablet sottobraccio e saponetta WebPocket in mano, si recava in sacrestia, dove, forse per la volontà del Padre, il segnale era molto più robusto rispetto ai locali della canonica. Su un tavolo coperto da una tovaglia bianca, di fianco al microfono dei cantori, appoggiava il suo confessionale virtuale e lì, in piedi, come se stesse celebrando Messa, consegnava via mail, alle persone che si erano prenotate, l’invito alla video confessione. I volti dei collegati al “meeting” erano nitidi, molto più reali rispetto a quelli che si intravvedevano tra le grate del confessionale. Pure i peccati sembrava fluissero senza l’abituale imbarazzo. L’isolamento della sacrestia, unito al tono di voce molto soft di confessore e confessando, davano garanzia della privacy più assoluta, mentre l’incontro in forma virtuale aiutava a disinibire il racconto.

Sconfitta la pandemia, il prevosto, constatato che le confessioni in presenza andavano sempre deserte, decise di continuare la pratica del ravvedimento online, che aveva dato frutti incoraggianti durante il periodo dell’affezione virale.

Un giorno accadde, forse per sbadataggine o forse per lo zampino del diavolo, che il parroco non si fosse accorto di avere il microfono dei cantori acceso e collegato con gli amplificatori nella chiesa. In quel momento la moglie del Banchiere stava confessando online le scappatelle combinate all’insaputa del marito. La donna, la cui voce era molto nota nell’ambito sociale, stava raccontando senza inibizioni, ma contritamente, la sua ultima avventura extraconiugale. Sicuramente per lo zampino del diavolo, era presente in chiesa donna Pratese, nota per essere la migliore custode dei segreti rivelati. Era tale la sua capacità di “spiffero veloce” che al quarto dei dieci gradini posti all’uscita della chiesa, già mezzo abitato sapeva chi fosse lei, l’altra metà si chiedeva chi fosse lui, mentre l’intera cittadinanza sapeva a chi fossero cresciute due protuberanze sulla fronte. Normalmente, in simili circostanze, chi sa tace e l’interessato, anche nella malaugurata ipotesi che gli giunga una qualsiasi anonima soffiata, è l’ultimo a sapere. Ma quella volta il vortice che piroettava e sosteneva la chiacchiera era tale da non riuscire a trattenere, al passaggio dell’interessato, mezze frasi, sorrisetti, accenni apparentemente casuali.

Il Banchiere, abituato a fare di conto, aveva sommato uno più uno e siccome il risultato gli dava tre, aveva iniziato a indagare. Infiammato dal sospetto e dal fuoco della gelosia, aveva interrogato donna Pratese che, da navigata qual era, si era limitata a riportare “voci” provenienti da anonimi frequentatori della chiesa. Seguendo l’indizio arrivò a don Clemente. Pressato da un interrogatorio asfissiante il curato si appellò al segreto della confessione. Sempre più infuriato il Banchiere congelò il conto della moglie, pretese i rientri da parte di tutti i commercianti e le imprese cittadine che avevano aperto un fido con la sua banca, ritirò tutte le sovvenzioni umanitarie, bonifico parrocchiale compreso. Tenne sotto ricatto tutta la cittadina, affermando che non avrebbe più prestato un centesimo a nessuno finché l’adultero non avesse avuto il coraggio di alzarsi in piedi, durante la funzione domenicale, per dichiararsi colpevole e pentito di fronte all’assemblea.

Data la premessa, la messa festiva di mezzogiorno era gremita all’inverosimile. Sembrava che tutti avessero avuto una folgorazione mistica durante la settimana e si fossero radunati per convertirsi a nuova vita spirituale. Terminata la lettura del Vangelo, l’assemblea si accomodò in assenza di rumori, aspettando che il colpevole si alzasse e palesasse le sue colpe.

Trascorse circa un minuto, durante il quale il silenzio era talmente religioso che si sarebbe potuto sezionare come un panino di burro, ma nessuno si alzò.

Allora don Clemente avvicinò la bocca al microfono e in crescendo di tono iniziò la sua omelia:

«Che mi crediate o no, sono io il colpevole… o meglio la colpa è mia e di un ossimoro. In un momento di ricordata dimenticanza, e qui entra in gioco la colpa dell’ossimoro, mi sono accorto di aver lasciato aperto il microfono dei cantori durante una confessione online e, in seconda evidenza, di non averlo fatto riparare. Le casse amplificatrici distorcevano la voce. Quel giorno, chi “inavvertitamente” stesse ascoltando può aver sentito pronunciare in maniera chiara solo il mio nome da una voce irriconoscibile. Impossibile che abbia udito altro se non parole falsate e incomprensibili…»  

Un bisbiglio d’incredulità e di meraviglia percorse la chiesa da un lato all’altro, oscillò come un’Ola e rimase in sottofondo per tutto il tempo in cui il curato proseguì e concluse il suo sermone.

Gli effetti della rivelazione del Parroco si evidenziarono al termine della celebrazione e continuarono nei giorni successivi. La Comunità, scossa dal dubbio, si era divisa tra credenti, scettici, possibilisti e negazionisti. Messa in forte discussione la veridicità della notizia veicolata da donna Pratese, nel dubbio, nessuno aveva osato fare domande o accennare vagamente ad un eventuale coinvolgimento del curato. Nel frattempo si era scatenata la caccia all’Ossimoro che doveva essere senz'altro un nero, di qualche tribù africana, colpevole dello stupro ai danni della donna oggetto della confessione. Ma c’era chi metteva in campo un’ipotesi molto più raccapricciante: l’Ossimoro, sicuramente extracomunitario e autodidatta, era il nome del tecnico intervenuto già altre volte per riparare l’impianto di amplificazione della chiesa. Compiuto il misfatto in sacrestia, Ossimoro avrebbe successivamente chiesto al parroco di confessarsi online. Di conseguenza, la voce distorta doveva appartenere allo stupratore e non alla vittima.

Al di là delle fazioni, dei fraintendimenti e delle fantasticherie, una cosa risultò chiara a tutti: la criptica omelia di don Clemente aveva ottenuto il risultato non trascurabile di aver riaperto le “borse” del Banchiere, per tutti. In particolare per la parrocchia, che si era vista triplicare la quota del bonifico in suo favore.

L’offeso, pur conservando il sospetto che il prete, in qualche modo, fosse coinvolto nella vicenda e nascondesse la verità in virtù della segretezza derivatagli dal suo mandato confessionale, aveva considerato inopportuno chiedere ulteriori chiarimenti. In un certo senso, quel tarlo insinuato da don Clemente nella mente dei suoi parrocchiani aveva quietato il clamore dello scandalo e veicolato il dibattito pubblico verso argomenti diversi rispetto a quello apparecchiato da donna Pratese. Al Banchiere era apparsa chiara la convenienza di sostenere in modo tangibile la confessione sibillina del prete in modo che le diverse interpretazioni scaturite dalle sue rivelazioni perdurassero il più a lungo possibile.

Don Clemente era un curato di grande fede, ma con i piedi ben piantati sul pavimento della sua chiesa. L’edificio aveva necessità di urgente manutenzione e benedì quell’insperato aiuto economico.

Passò del tempo. Un venerdì il Parroco stava per uscire dal confessionale. Come al solito l’orario delle confessioni in presenza era scaduto e nessuno si era presentato. D’un tratto arrivò trafelato il Tesoriere, un dirigente importante dell’Istituto di proprietà del Banchiere. Il Tesoriere, assiduo frequentatore della casa del Banchiere e suo amico fidato, chiese se fosse ancora in tempo per la confessione. Alla risposta affermativa del curato si inginocchiò e iniziò a raccontare le pene del suo spirito, nessuna delle quali però riguardava ciò che il confessore si aspettava da lui.

Ricevuta l’assoluzione, il Tesoriere andò a inginocchiarsi in uno dei primi banchi, per recitare le sue orazioni penitenziali. Don Clemente scostò la tendina e vide sul bordo della porticina d’ingresso una busta. Allora capì di avere davanti a sé la personificazione del peccato che aveva atteso invano. Sfilò dalla busta un assegno intestato alla parrocchia con una cifra in calce fitta di una fila di zeri che il Parroco non volle neppure contare. Si avviò verso il Tesoriere, deciso a rifiutare la somma. Ma a metà strada si imbatté nella solita macchia di umidità che si formava quando pioveva. Si fermò, guardò in alto e vide le travature in legno umide e ammuffite. Allora, con un sospiro, si mise in tasca l’assegno e si avvicinò all’uomo inginocchiato. Seduto accanto a lui gli sussurrò:

«Guardi che io come Parroco posso capire e come uomo, se l’offesa fosse stata diretta a me, potrei anche perdonare. Dato il pessimo stato in cui versa la chiesa, non sono nelle condizioni di rifiutare quella che considero una donazione, non un pagamento per tenere la bocca cucita. Il confessore è obbligato al silenzio. Per questa ragione, malgrado il mio errore a cui ho cercato di rimediare, non è il mio silenzio che deve comprare... ma è Lui che deve convincere ad assolverla» e per puntualizzare le sue ultime parole alzò braccio, mano e indice verso il cielo.

Raggiunta la sacrestia aprì nuovamente la busta. Insieme all’assegno estrasse un biglietto con il contenuto di due sole righe: “L'altro sono io. Le lascio il mio contributo per la 'riparazione' del microfono dei cantori, nella speranza che rimanga uso esclusivo del coro!”

Un timido sorriso apparve sul volto del sacerdote e prima che si spegnesse, don Clemente aveva già deciso che quelle poche parole scritte valevano l’assoluzione della specifica colpa cui si riferivano. Il Tesoriere aveva finalmente confessato di essere partner di adulterio. Verità che don Clemente già conosceva dalla confessione della moglie del Banchiere e che donna Pratese non avrebbe dovuto sentire. Fu per il senso di colpa dovuto alla sua sbadataggine che il Parroco di Pian di Sopra sentì l’obbligo di inginocchiarsi davanti alla piccola croce appesa a un muro della sacrestia. Sentiva un certo mormorio della coscienza: “Perdonami Padre se ho sbagliato… se ho dovuto mentire, se ho accettato soldi che avrei fatto bene a rifiutare! Considera che l’ho fatto per la tua Chiesa e per questa tua Casa”.

Subito si sentì pervaso da un magico realismo, ma non si stupì: era l’ossimoro ricorrente che abitava le tasche vuote di molti Parroci.


© Cesare Ferrari

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