Era un’alba evanescente, la nebbia risaliva uggiosa il monte squallido, apparso scivoloso sulla superficie brulla del suo acronimo. Esperanto posizionò la mascherina nel punto giusto, appena sopra il naso e richiuse lo zaino del suo peregrinare...

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Il Monte delle Promesse

Era un’alba evanescente, la nebbia risaliva uggiosa il monte squallido, apparso scivoloso sulla superficie brulla del suo acronimo. Esperanto posizionò la mascherina nel punto giusto, appena sopra il naso e richiuse lo zaino del suo peregrinare. In quel sacco montanaro aveva riposto in fretta tutti i sogni apparecchiati sulla tovaglia del futuro.

L’imprevisto, la montagna, si era parato di fronte a lui all’improvviso, scompigliando l’ordine dei desideri, frantumando l’entusiasmo, isolando parenti e amici, contaminando cose, soffocando persone.

Ma Esperanto, reso forte dai saliscendi affrontati durante il suo tribolato andare, era allenato a scalare pinnacoli rocciosi e a percorrere improvvidi sentieri. Strinse le cinghie dello zaino sulle spalle forti e prese a salire il sentiero infido dell’imprevisto acronimo.

 Ricordando i consigli delle guide incontrate lungo il cammino, guardava solo i piedi, un passo dopo l’altro nell’affrontare la salita; era sicuro che sarebbe arrivato sulla cima... il fiato mozzo... attorno a lui l’orizzonte azzurro interrotto dalle altre vette.

E là, sul colmo esiguo dell’apogeo raggiunto, avrebbe apparecchiato di nuovo la sua tavola, convinto che lassù, in capo al monte delle Promesse, di positivi ci sarebbero stati solo i pensieri.


 

© Cesare Ferrari  


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